di Mohamed Kordofani, Sudan, 2023, 120′
con Siran Riak, Eiman Yousif, Nazar Goma, Ger Duany, Issraa El-Kogali
Khartoum, ultimi anni del Sudan come paese unito, poco prima della separazione del Sud Sudan nel 2011. Due donne rappresentano il complicato rapporto e le differenze tra le comunità del nord e del sud del paese. Mona, un’ex cantante popolare dell’alta borghesia del Nord, che vive con suo marito Akram, cerca di risolvere i suoi sensi di colpa per l’uccisione, da parte del marito, di un uomo del Sud, assumendo Julia, la sua ignara vedova, come cameriera.
Quanto c’è di personale in questo film?
Moltissimo, i personaggi rispecchiano me stesso in diverse fasi della vita, sono un’altra persona rispetto a quella di vent’anni fa e queste trasformazioni progressive mi sembravano un soggetto interessante su cui scrivere. Molte persone non saranno felici di come il film ritrae alcuni personaggi ma io credo che oggi sia necessario aprire le nostre ferite piuttosto che essere diplomatici. Questo lavoro restituisce la prospettiva di un individuo del nord, siamo noi a dover mettere a fuoco i nostri difetti, ovvero il razzismo con cui per molto tempo abbiamo stigmatizzato chi viene del sud. Solo così si potranno evitare altre guerre.
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Perché secondo te il cinema in Sudan è ancora un territorio inesplorato?
C’è più di una ragione, ma il regime precedente combatteva tutte le forme d’arte, hanno chiuso le sale e hanno fatto veramente un ottimo lavoro! In generale l’arte è considerata qualcosa di poco importante rispetto ad altri mestieri, i corsi all’università che la insegnano sono pochi.
Qual è il tuo rapporto col cinema africano?
Non ne sono molto influenzato mentre amo moltissimo quello iraniano. Credo che con l’Iran abbiamo molte cose in comune, la storia e le tradizioni sono simili. Il Sudan è al confine tra il mondo arabo e quello africano, per questo si trova in una posizione unica, penso che se la diversità venisse usata nel modo giusto potrebbe essere una grande ricchezza.
Intervista a Mohamed Kordofani su il manifesto
MyMovies - Goodbye Julia è una finestra che introduce e mette in metafora - seppur con una certa necessaria didattica - la complessa storia socio-politica recente del Sudan, facendo di Mona e Julia due simboli di un paese spaccato tra nord e sud, tra religioni diverse, e segnato da stridenti disuguaglianze economiche che avrebbero poi portato ancora al conflitto. Il regista ambienta infatti la vicenda negli anni precedenti alla formalizzazione dell'indipendenza del Sudan del Sud, a seguito della quale scoppiò una guerra civile conclusasi solo nel 2020.
La capitale Khartoum non fa da sfondo neutro al dualismo così netto tra le protagoniste, ma reclama il suo spazio come luogo destabilizzato e destabilizzante, la cui perenne e violenta pericolosità cambia anche i contorni di un atto casuale, un piccolo incidente, che a valanga si ingigantisce in uno stato di tensione.
Cineforum - Il dramma che viene distribuito in Italia con il patrocinio di Amnesty International è realizzato nel contesto di una situazione socialmente aspra. Per dirla con le parole riportate del cineasta, evidenziate anche dai dialoghi: il film parla di “razzismo, classismo e le tanti divisioni all'interno della popolazione sudanese”. L'abilità (sorprendente) del cineasta esordiente ma già piuttosto attento alle necessità del cinema commerciale è quella di inserirvi un dramma-thriller discretamente emozionante e strutturato. Certo non mancano le ingenuità e il senso di complessiva precarietà di una produzione che supponiamo non facile, il didascalismo e la devozione al messaggio (a volte capestro delle operazioni, diciamo così, neorealisticheggianti), ma l'attenzione dello spettatore non viene mai meno, sostenuta dall'emotività universale del tema.
Sentieri Selvaggi - Presentato al Festival di Cannes nel 2023 dove ha vinto il Premio Libertà nella sezione Un Certain Regard, Goodbye Julia è un ottimo esempio di cinema di impegno civile che immerge la storia di due personaggi femminili forti in un contesto storico opprimente. Mona e Julia hanno mentito per la propria sopravvivenza: una torna a cantare, l’altra prova a reinventarsi una esistenza. I politici vendono la libertà dei civili ai migliori compratori. L’unica certezza è che la guerra sarà tramandata di generazione in generazione come dimostra l’ultimo memorabile fotogramma del film.
il manifesto - Goodbye Julia, insomma, condensa sullo schermo un percorso di consapevolezza da parte di un autore che ha preso le distanze dalla mentalità della propria società, dove discriminare i sudanesi africani rappresenta la normalità. Un capovolgimento che prende la forma di un rapporto di amicizia tra le due donne, entrambe alla ricerca di una possibile strada per rendere la vita degna di essere vissuta mentre, sullo sfondo, il Sud va al voto scegliendo infine l’indipendenza. Se da una parte, quindi, le due donne riescono a riconoscersi pur nelle differenze, dall’altra le due anime del Sudan si sono invece separate nella realtà storica.