di Wes Anderson, Usa, 2018, 101′
con Voci di: Scarlett Johansson, Greta Gerwig, Frances McDormand, Bryan Cranston, Tilda Swinton, Edward Norton, Liev Schreiber, Bill Murray, Jeff Goldblum, Kara Hayward
Giappone, 2037. Il dodicenne Atari Kobayashi va alla ricerca del suo amato cane dopo che, per un decreto esecutivo a causa di un'influenza canina, tutti i cani di Megasaki City vengono mandati in esilio in una vasta discarica chiamata Trash Island. Atari parte da solo nel suo Junior-Turbo Prop e vola attraverso il fiume alla ricerca del suo cane da guardia, Spots. Lì, con l'aiuto di un branco di nuovi amici a quattro zampe, inizia un percorso finalizzato alla loro liberazione.
Mymovies.it. Wes Anderson, film dopo film, sta affinando una caratteristica del tutto peculiare che lo colloca ormai, a buon diritto, tra i Maestri del cinema contemporaneo. È praticamente uno dei pochissimi registi, ma sicuramente quello con gli esiti più produttivi di senso, in grado di saturare le inquadrature con una miriade di elementi senza però perdersi in un barocchismo o in un compiacimento fini a se stessi. Salvo poi, nell'inquadratura successiva, svuotare lo schermo per affidarlo a un singolo elemento in un ampio spazio. Nel suo cinema la messa in scena conta infinitamente di più della storia che però comunque non si limita a fare da tappeto narrativo per le immagini. Come in questo caso, dove si racconta non di un 'muro' ma di qualcosa di analogo: un'isola dove poter allontanare gli indesiderabili.
Filmtv.press. La rivolta parte dagli ultimi, dai senza famiglia: come Sam in Moonrise Kingdom, come Zero in Grand Budapest Hotel, qui sono un randagio e un orfanello a rifiutare l’autorità e a mettere in scacco la dittatura. E lo fanno col potere delle parole, del linguaggio che produce senso (...) perché le parole sono importanti, e questo i personaggi di Anderson lo sanno benissimo: sono drammaturghi, grafomani, giornalisti, autori di romanzi e di racconti, e L’isola dei cani, col suo tripudio di didascalie, cartelli, sottopancia e ideogrammi, è l’apice del cinema “tipografico” del regista. Mai come in questo film la questione del linguaggio è rilevante: solo i cagnolini (e una studentessa americana ospite a Megasaki) parlano inglese, mentre i personaggi giapponesi si esprimono unicamente nella loro lingua madre, senza sottotitoli. A fungere da mediatori intervengono interpreti, traduttori automatici e altri mezzi diegetici, che preservano l’autenticità di questo Giappone di plastilina e cotone, iperdettagliato, tanto fittizio quanto accurato.(...) La traduzione è una questione di rispetto: la rivoluzione, nel film più politico di Anderson, parte da qui.
Cineforum.it. Era inevitabile che la messinscena lineare del cinema di Wes Anderson prima o poi incontrasse il mondo giapponese. Un mondo a livelli orizzontali e verticali, graficamente lineare e geometrico, fatto apposta per essere riproposto attraverso l’estetica del regista americano, che ovviamente non cambia mai e qui torna in tutta la sua riconoscibilissima evidenza: inquadrature frontali, primi piani e campi lunghissimi ricchi di particolari, miniature semoventi, riduzione della realtà a segno grafico.
Eppure, l’immaginario giapponese, per quanto avvicinato e riadattato, non viene mai veramente riprodotto. Fin dal prologo, Anderson ricorre all’iconografia pittorica del disegno su carta e dell’illustrazione, alla pittura ottocentesca e poi al teatro nō, al manga e all’anime; ma lo fa lasciando che le immagini del suo film siano arricchite dalle infinite altre immagini del mondo a cui rimandano, e non appiattite sul semplice rimando o la semplice citazione. L'isola dei cani non è un omaggio all’iconografia giapponese. Ben oltre il semplice innamoramento del neofita, è piuttosto la ricerca di una radice comune a due mondi che dialogano per la prima volta, lo scavo oltre la forma immediata e riconoscibile di un segno, un tratto, un disegno.