di Ali Asgari, Alireza Khatami, Iran, 2023, 77′
con Majid Salehi, Gohar Kheirandish, Farzin Mohades, Sadaf Asgari, Hossein Soleimani
Nove storie di vita quotidiana a Teheran.
Il racconto di persone comuni e provenienti da ogni ceto sociale, che affrontano i vincoli culturali, religiosi e istituzionali imposti loro da varie autorità sociali, dagli insegnanti scolastici ai burocrati. Scene commoventi, umoristiche e coinvolgenti, che catturano lo spirito e la determinazione delle persone in mezzo alle avversità, offrendo un ritratto sfumato di una società complessa.
"Ieri ho visto un capolavoro, un film perfetto, originalissimo che mi ha intimamente sconvolto: 'Kafka a Teheran'. Vedendo il film capisci, senti esattamente, come un regime teocratico possa spaventare i cittadini usando domande semplici, pronunciate a bassa voce. Chi spaventa non si vede mai, vediamo solo le vittime, l'umanità impaurita. È programmato in pochi cinema in Italia, ma tutti dovrebbero vederlo. È un film che va difeso, credo nel passaparola tra gli spettatori e spero che la mia voce possa aiutarlo a raggiungere un pubblico più ampio". Marco Bellocchio
A essere inquadrate, una dopo l’altra e in situazioni via via più assurde, sono persone comuni che si confrontano con istituzioni o enti pubblici. I loro interlocutori, però, i burocrati, rimangono sempre fuori campo.
Fin dall’inizio abbiamo deciso di non mostrare mai cosa c’è fuori campo. Tutti questi personaggi “invisibili”, dei quali sentiamo soltanto la voce e che non vediamo mai, rappresentano una cosa sola, unica, cioè il sistema. Un sistema che è lo specchio di un regime che controlla ogni aspetto della vita nel nostro paese. Volevamo concentrarci su tutte le piccole reazioni delle persone in campo, l’obiettivo era quello di mostrare quanta pressione sono costretti a subire i cittadini, e anche per questo motivo abbiamo scelto di utilizzare il formato “opprimente” in 4:3.
(leggi l'intervista completa al regista Ali Asgari su FilmTv)
MyMovies.it - I due registi hanno fatto un lavoro di resistenza civile che deve essere costato non poca fatica, espedienti e rischi e che non avrà spazio di visione in Iran. Perché questo è un cinema di denuncia sociale che, con grande semplicità di mezzi e con un approccio estremamente diretto alla realtà, sa comunicare con efficacia il proprio grido di ribellione molto più di altre opere formalmente elaborate ma distanti anni luce da una fruizione non intellettualisticamente di nicchia.
Sentieri Selvaggi - Lo sfondo macroscopico è Teheran dove milioni di persone vivono una guerra ininterrotta ai lati opposti di un fronte ipotetico, che la divide: una moltitudine in cerca di normalità ed un’altra composta dai fanatici del regime dietro cui nascondono i propri soprusi. Censura e ricatto, ed una legge sacra da esibire come giustificazione contro il peccato di volere un’esistenza ordinaria priva di stupidi divieti. La morale è abbastanza chiara, il male non si nasconde nell’ombra, è radicato nel territorio e si alimenta grazie alla corruzione e le delazioni. Il tono complessivo è in linea con la premessa di normalità e di poco artefatto, e le drammatiche conseguenze nascono da un clima dai tratti aberranti, provocando lo sdegno dopo aver soffocato una risata amara.
Quinlan.it - Girato a cavallo delle proteste di piazza che hanno fatto seguito alla morte della giovane Mahsa Amini, Kafka a Teheran è un atto di insubordinazione dei due registi, che con pochissimi mezzi e senza ovviamente l’avallo delle autorità iraniane hanno scritto e diretto dodici siparietti dialettici, tutti tesi a simboleggiare la staticità di una burocrazia che finisce con grande facilità per rendere praticamente impossibile la vita dei normali cittadini. Tra molestie durante un colloquio di lavoro, un regista che deve riuscire a farsi accettare la sceneggiatura che ha intenzione di trasformare in immagini, una ragazza accusata di aver perso il velo in automobile, una studentessa che sarebbe arrivata al liceo accompagnata in motocicletta da un ragazzo, una donna cui hanno sequestrato il cane, un altro colloquio in cui si deve dimostrare di conoscere a menadito il Corano, i due registi – Khatami si è trasferito in Canada, in modo da poter lavorare con maggiore tranquillità, mentre Asgari è purtroppo bloccato in Iran con il passaporto invalidato dalle autorità locali, e gli è vietato girare film – costruiscono una dozzina di dialoghi tra il quotidiano, il tragico, e il surreale, cercando e in parte riuscendo a far emergere il grottesco dal reale, senza bisogno di ricorrere a chissà quale artificio. Quel che ne viene fuori è ovviamente uno spaccato impietoso di una società chiusa nei propri schemi sociali e mentali, e sempre meno in grado di rispondere alle esigenze di una parte consistente della cittadinanza.