di Mohamed Diab, Egitto, Giordania, 2021, 98′
con Saba Mubarak, Ali Suliman, Tara Abboud, Waleed Zuaiter, Ziad Bakri
Amira è un adolescente palestinese il cui padre si trova condannato a vita in un carcere israeliano per terrorismo. Quando l'uomo manifesta il desiderio di avere un altro figlio con la stessa pratica adottata per lei (la fuoriuscita clandestina di sperma per la fecondazione artificiale) emerge un problema che condizionerà la vita della ragazza.
Amira, nel tempo libero che le concedono la frequentazione della scuola e lo studio, tiene aperto un piccolo laboratorio fotografico per mantenere viva la sua passione. La conosciamo mentre realizza degli autoscatti che serviranno poi per realizzare dei semplici fotomontaggi.
Quinlan - Il realismo sociale del film pone le basi per una drammaturgia classica, pirandelliana, rashomoniana, sul relativismo della verità. Chi è il padre biologico di Amira? A un certo punto, da quando si scopre la sterilità di Nawar, il film si poggia su questo dilemma, esplorando varie ipotesi. Diventa cruciale il tema dell’identità nazionale palestinese, e in generale araba. La possibilità che nelle proprie vene scorra il sangue del nemico oppressore, diventa un’onta in un contesto bellico perenne. E un’opera fortemente contestualizzata come Amira, assume un respiro classico, una validità universale valida ovunque ci siano conflitti.
Sentieri Selvaggi - Amira è un film che apre un altro orizzonte e la doppia identità della sua protagonista diventa la manifestazione vivente delle eterne contraddizioni e delle contrapposizioni tra le due compagini. Amira è giovane, innamorata, passionale e con la sua caparbia volontà è capace di assorbire i drammi personali e collettivi di quei popoli. Amira rappresenta l’incrocio dei due mondi e la confusione che ne deriva. È in questa confusione di lingue e di riaffermazioni identitarie che i due popoli, divisi da credi religiosi e discutibili decisioni politiche, stabilizzano il conflitto redendolo endemico, perpetuandone le conseguenze. È la dualità insistita, di cui Amira rappresenta l’esempio vivente, lo scenario dentro il quale trovano posto due padri, due popoli, due nazioni e due possibilità, una di sopravvivenza e una che la nega. L’autore trova ancora un altro modo per raccontare gli effetti collaterali di una contrapposizione armata che dura da decenni. Diab sa offrire una lettura se si vuole originaria della guerra tra israeliani e palestinesi, pur caricando la giovane protagonista di una responsabilità che ne sopraffà l’esistenza, negandole il diritto al futuro.
Ancora una volta dagli autori di quelle aree geografiche arrivano suggestioni inattese e questa in particolare sembra ricostituire una genetica del conflitto, un dna inestirpabile per i due opposti fronti, riportando all’origine, alla genesi incerta della remota separazione. Diab prende spunto dalla cronaca e opta per la negazione di ogni possibile soluzione pacificatoria, con un finale inconciliabile con qualsiasi speranza facendo di Amira il film forse più profondamente pessimista sul futuro dei due popoli e su ogni sforzo per garantire la pace.