di Jonas Carpignano, Italia/Brasile/Germania/Francia/Svezia/USA, 2014, 118′
con Pio Amato, Koudous Seihon.
Pio, 14 anni, vive nella piccolo comunità Rom denominata A Ciambra in Calabria. Beve, fuma ed è uno dei pochi che siano in relazione con tutte le realtà presenti in zona: gli italiani, gli africani e i suoi consanguinei Rom. Pio segue e ammira il fratello maggiore Cosimo e da lui apprende gli elementi basilari del furto. Quando Cosimo e il padre vengono arrestati tocca a Pio il ruolo del capofamiglia precoce che deve provvedere al sostentamento della numerosa famiglia.
Mymovies.it. Jonas Carpignano torna nei luoghi che avevano contrassegnato i suoi esordi e lo fa con la passione e la tenacia di chi conosce a fondo la materia che intende trattare, se ne lascia attrarre conservando però sempre il controllo di un film che fonde una riflessione socio antropologica al desiderio di raccontare una fase di passaggio fondamentale per il suo protagonista. Il quale è quel Pio Amato che già si era fatto notare in Mediterranea e che qui porta sulle fisicamente fragili ma attorialmente solide spalle l'intero film. Nel suo sguardo si leggono domande esistenziali che la voce non sa esprimere così come dalla sua ritrosia e dai suoi imbarazzi emergono i segni di un'infanzia e di una preadolescenza che non hanno potuto essere tali a causa di una precoce immissione nel non facile mondo degli adulti. Che tale non lo considerano (a partire dal fratello) ma che nulla gli nascondono di una realtà quotidiana in cui il mestiere di vivere richiede la capacità di guardarsi costantemente le spalle.
Internazionale.it. Quello di Pio è un ritratto come non se ne fanno più nel cinema italiano. Un ragazzo alla ricerca affannosa ma ostinata, caparbia, di un punto di riferimento, di un appoggio nell’amore, nell’affetto. Questa la sua impresa eroica. Dietro ai piccoli avvenimenti che si succedono nella comunità, dietro al caotico guerreggiare e sovvertire di Pio troviamo un adolescente che si sta affacciando all’età adulta in conflitto con la famiglia. È combattivo ma in fondo spaurito come chiunque si trovi di fronte all’entrata in una terra incognita. La richiesta di attenzione e amore per quanto confusa è evidente. Carpignano riproduce con vivida precisione i dialoghi delle due comunità. Sembra tutto spontaneo, ma tutto è scritto. Il suo film ritrova gli intenti del neorealismo, senza mai scimmiottarlo scolasticamente. In effetti il suo stile è diverso, forse più prossimo a quello dei fratelli Dardenne o di Robert Bresson. E siamo lontani da tanto cinema italiano che scivola nell’ovvio e nel telefonato, dai facili sentimentalismi e dagli ammiccamenti.
Filmtv.press. E così questo cinema che si prospetta come uno scorcio etnografico, un prelievo di verissimo vivere dentro la ciambra, finisce per correre sulle mean streets del racconto criminale: gli strumenti sono quelli del cinema del reale, il film è costruito passo a passo insieme ai protagonisti, basato sul loro esistere, fatto delle loro parole, delle loro idee, delle loro abitudini, sino a incalanarsi verso un action noir che sa di Scorsese, o di Audiard. La scrittura prende il sopravvento, l’equilibrio tra etnografia e fiction latita, alla fine. Il film è cambiato. Lo scandaglio dentro le cose si dimostra un quadro stilizzato sullo stato socioeconomico delle cose. Lo sguardo s’eleva dal reale, sul reale. Da Gioia Tauro a Hollywood. Dal doc alla paraboletta. In un unico film.
Il Fatto quotidinao. Articolo scritto da Carlo Stasolla, presidente dell'ass. 21 luglio: “A Ciambra” è un film del quale non sentivamo alcun bisogno. Di luoghi comuni e pregiudizi siamo già pieni e non c’era necessità del film di Carpignano per racchiuderli nella storia di Pio. Il regista italo-americano presenta una realtà artefatta perché la storia della piccola comunità rom di Gioia Tauro è un’altra. E’ una storia di povertà dignitosa colpita da emarginazione e segregazione.