di Enrico Maisto, Italia, 2017, 54′
con ---
Milano, Palazzo di Giustizia. Sessanta cittadini, estratti a sorte da un sistema informatico, prendono posto nell'aula in cui si celebrano i processi della II sezione della Corte d'Assise d'Appello. Fortuiti candidati, i sessanta passeranno un giorno intero fra le pareti rivestite d'onice, in attesa di sapere se, aldilà della propria volontà, saranno scelti dal Presidente della Corte per assurgere a un ruolo di cui molti non conoscevano nemmeno l'esistenza, il ruolo di giudice popolare.
Note di Regia. Se si guarda con attenzione alle tante immagini di cronaca giudiziaria che negli anni si sono accumulate, anche soltanto nei telegiornali, a margine del fotogramma si scorgeranno loro, i giudici popolari, questi sconosciuti che per volontà del caso hanno contribuito in forma anonima alla storia di tanti processi, per poi ritornare alle proprie vite. Un flusso costante che continua a coinvolgere molti, ma che rimane tutt'ora pressoché ignoto: chi sono? Che peso hanno? Cosa porteranno delle loro opinioni e convinzioni personali al momento di decidere la sentenza? La giuria intende raccontare, attraverso il momento della selezione dei giudici, proprio quel contesto umano e relazionale da cui scaturiranno i giudizi di condanna o assoluzione.
Il manifesto. All'inizio è quasi un sussurro, frammenti di frasi, conversazioni banali, parole solitarie che fluttuano qua e là mischiate a esitazione, a qualche punto interrogativo, l'atmosfera che accompagna ogni attesa. Chi sono quelle persone, giovani e meno giovani sui cui volti, e tra quelle parole, si sofferma lo sguardo dell'autore delle immagini? Sono loro, dunque, i giudici popolari, i protagonisti del film prima e dopo, quando cioè vengono convocati, nel tempo che li separa dal colloquio per la selezione ultima e col giuramento dei sei giudici popolari scelti insieme a supplenti e a sostituti addizionali.
Maisto nell'unità di luogo mantiene sempre (con l'uso di multi-camere) la dimensione corale: non ci sono interviste, nessuno dichiara al microfono qualcosa, le ore scorrono e con essere prende forma una relazione che interroga il rapporto tra l'individuo (il cittadino) e la giustizia e che e apre anche alcuni squarci sulla consapevolezza del nostro passato recente dentro e fuori quell'aula di tribunale.
Il punto di vista dell'autore sin dichiara in questa narrazione polifonica affidata però alle immagini in primo piano (il montaggio è di Valentina Cicogna e Veronica Scotti) e a un suono (magnificamente composto da Massimo Mariani) che cresce progressivamente fino a essere anch'esso protagonista, espressione centrale di delle esitazioni e delle ansie tra chi vi prende parte. È una scelta forte, che diventa poetica e nel confronto con una materia complessa, senza imporvi letture univoche, riesce a rendere la dialettica di partenza, pubblico/privato e le domande che provoca cinema.