di Mahamat-Saleh Haroun, Ciad, Francia, Germania, Belgio, 2021, 87′
con Achouackh Abakar Souleymane, Rihane Khalil Alio, Youssouf Djaoro, Briya Gomdigue
N’Djamena, capitale del Ciad, oggi. Ragazza-madre dell’adolescente Maria, Amina è malvista dalla sua comunità e rifiuta cocciutamente un matrimonio che potrebbe metterla al riparo dallo stigma sociale di aver avuto una figlia senza marito. Scottata dalla propria esperienza, Amina si spaventa a morte quando scopre che anche sua figlia Maria rischia di fare la sua stessa fine. La ragazza è infatti rimasta incinta a seguito di un rapporto sessuale del quale non vuol raccontare nulla. Sulle prime, Amina accoglie con netto rifiuto l’intenzione di abortire che sua figlia esprime con grande determinazione. Successivamente, Amina si convince a dare una mano a Maria per interrompere la gravidanza, sebbene ciò costituisca una gravissima infrazione alla legge e alla religione della loro comunità…
Quinlan.it - li strumenti espressivi di Haroun si collocano in un consolidato tracciato di cauto pedinamento del personaggio, spesso inscritto in inquadrature di spiccato gusto pittorico. Contribuiscono notevolmente anche i colori degli abbigliamenti, ancor più vividi del solito e sempre tenuti lontani, però, dal gusto dell’esotico a uso e consumo di platee occidentali. Lingui (titolo orginale che in arabo significa legame) sposa un discorso sociale con grande evidenza: la questione dell’aborto e della libertà della donna, le pericolose derive delle interruzioni di gravidanza clandestine, la pratica delle escissioni, la diffusione dello stupro, il senso costante di rischio e instabilità dovuto a uno stato sociale praticamente assente, nemmeno concepibile a queste latitudini. In tale cornice la figura di Amina costituisce sfida, non soltanto per le sue scelte poco ortodosse, ma anche per la capacità di imporre la propria volontà, incidere sul reale senza perdere un sostanziale spirito positivo. È in tal senso assai significativo che il finale si chiuda su ambigue note ottimistiche.
ioDonna - il ciadiano Mahamat-Saleh Haroun sceglie qui uno stile di epurata semplicità, fatta di inquadrature essenziali, per sottolineare e ribadire la centralità della figura umana (fa tornare in mente il primo Pasolini, con un disincanto laico al posto della sacralità) e raccontare l’odissea di Amina quando scopre che la figlia quindicenne Maria, che ha allevato da sola, è incinta.
Cineforum.it - A differenza di quanto accade in tanti altri film sull’aborto, il regista ciadiano decide di non soffermarsi nello specifico sulla messa in scena dell’atto in sé e di lasciarlo invece nel fuori campo, preferendo concentrarsi maggiormente sull’analisi di un Paese in cui le libertà individuali, specialmente quelle femminili, si trovano ad essere gravemente limitate. Ogni azione di Amina, ad esempio, è costantemente assoggettata ad uno sguardo – rigorosamente maschile – che non si fa problemi ad emettere giudizi e a sputare sentenze: le assenze sempre più frequenti di Amina dalla moschea destano sospetto, il rifiuto di sposarsi è ulteriore fonte di biasimo, mentre il vicino di casa non si pone alcun freno nel manifestare apprezzamenti invasivi nei confronti della donna.