di Mathieu Amalric, Francia, 2021, 97′
con Vicky Krieps, Samuel Mathieu, Erwan Ribard, Aurelia Petit, Aurèle Grzesik.
Se ne va una mattina presto Clarisse. Non sappiamo dove, non sappiamo perché. Davanti la strada, dietro due figli e un marito a cui tocca trovare le parole per dire l'assenza. Marc prepara un'altra colazione e cerca un senso per aiutare i ragazzi a continuare. Lucie col suo piano, Paul con le sue domande. Clarisse guida, vuole vedere il mare mentre immagina i suoi figli crescere e Marc invecchiare. Ma niente è come appare. I dettagli si accumulano con le polaroid e i ricordi, i luoghi e i volti, le melodie e gli oggetti, confusi, riordinati e di nuovo mischiati. Forse Clarisse non è mai partita.
LA PAROLA AL REGISTA
(...) In fondo, al cinema finiamo sempre per credere a personaggi che non sono reali. Quando guardiamo un film sembra che lo siano, adoro quell’atto di fede davanti a un film e volevo lavorare proprio su quella fede, sul crederci nonostante tutto. A quel punto che mi sono chiesto come farlo, come potevo trasformare in cinema tutto questo. Il cinema poteva esaltare quel processo, creare fantasmi, creare il mélo. Un melodramma al galoppo però, dove la protagonista avanza, non volevo filmarla tutto il tempo nella sofferenza, volevo che Clarisse facesse delle cose, fosse attiva, inventiva. (leggi tutta l'intervista a mathieu Amalric su MyMovies.it).
MyMovies.it - Adattato liberamente da una pièce teatrale di Claudine Galéa ("Je reviens de loin"), Stringimi forte è la storia di "una donna che parte" o che sembra partire. La storia destrutturata di una sposa che custodisce un segreto 'musicato' a turno da Chopin, Debussy, Rameau, Ravel, Beethoven, Mozart, Rachmaninov. Le note musicali, onnipresenti, sono il filo conduttore dell'emozione, dirigono il film verso una 'montagna' di dolore, svolgono un film che ne contiene due. Due film che raccontano la stessa fuga ma nel primo una donna fugge dalla casa dove vive con suo marito e i suoi figli, nel secondo fugge la loro assenza.
il manifesto.it - Il lavoro sulle immagini, la scelta accurata delle angolazioni, delle prospettive; la prospettiva obliqua, sincopata attraverso cui si guarda alla storia, come salendo, scendendo o interrompendo all’improvviso scale di pianoforte; la messa in scena delle condizioni di luce, di fragili, cadenti abbagli invernali, che sono sempre condizioni di cinema, la carne tremula del cinema: ecco, Serre moi fort (titolo italiano Stringimi forte) di Mathieu Amalric, tra i film più belli visti di recente, è questa rapsodia di luce, l’impressionarsi sempre miracoloso di una luce livida e ancora vivida sulla «pellicola», e la ricostruzione delle ragioni stesse del filmare, cioè dell’immaginare.
Cineforum.it - Stringimi forte è la storia di un trauma da elaborare, eppure non è un film sulla morte. Anzi, è il tentativo di un cineasta disordinato e istintivo di sostituire al dolore paralizzante del lutto (Amalric ha dichiarato di essersi ispirato a Ritorno a casa di De Oliveira) il lavorio incessante del cinema, la sua vitalità, e dunque il passaggio da una scena dall’altra, da un’immagine all’altra, con la protagonista che per scacciare i propri fantasmi sceglie di farsi lei stessa fantasma, una figura estranea che spia e tormenta la vita dei figli; una donna che inventa le vite che i suoi amori non potranno avere, tra oggetti comuni trasformati in simboli (l’auto come una macchina dal tempo, le polaroid mescolate come le scene del film, il pianoforte usato come tramite con la figlia…) ed eventi casuali, come la visione in tv di un documentario su Martha Argerich, che creano improbabili, strazianti, bellissime trame alternative al corso ingiusto della vita…