di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini, Italia, 2021, 95′
con Lucy Salani
Lucy ha 96 anni e vive da sola, difendendo fieramente la sua indipendenza. Un tempo si chiamava Luciano, oggi invece è la trans più anziana d'Italia. Ai primi del 2020 Lucy ha ricevuto una lettera da Dachau: un invito alle celebrazioni per il 75esimo anniversario della liberazione dal campo di concentramento tedesco, dove è stata imprigionata in quanto "disertore dell'esercito tedesco", ma forse anche perché, come dice lei, era "un intruglio" scomodo per l'ideologia di purezza della razza nazista. Sarebbe la quarta volta che Lucy torna a Dachau, ma i forni crematori, quelli dove era costretta a trasportare i cadaveri ("alcuni ancora in vita"), non vuole più rivederli. Ma prima che possa partire per una quarta visita arriva la pandemia, che accresce la sua solitudine domestica.
Introduzione e commento con:
Si ringrazia Kimera Film.
LA PAROLA AI REGISTI
"Abbiamo visto Lucy per la prima volta in un'intervista su YouTube. Si presentava come una persona fuori dagli schemi e la sua storia era assolutamente unica.
È stata uomo e donna, figlio e madre, prigioniero nel campo di concentramento di Dachau, amica, amante, prostituta. La sua vita è stata un saliscendi di eventi, ora tragici, ora più sereni. L'abbiamo scovata nella sua casa popolare nella periferia bolognese, l'abbiamo conosciuta e abbiamo ascoltato per ore la storia della sua vita, decidendo così di realizzare un film su di lei, sulla sua umanità, sul suo coraggio e sul suo indistruttibile attaccamento alla vita.
Per un anno ci siamo immersi nella sua quotidianità fatta di ricordi, incontri e momenti di solitudine. Ci siamo interrogati spesso su come mettere mano su un materiale umano così delicato e prezioso e siamo giunti alla conclusione che la regia dovesse essere messa al servizio della storia e, soprattutto, di Lucy. Siamo rimasti attaccati a lei per far sì che anche lo spettatore potesse vivere quest'esperienza esattamente come l'abbiamo vissuta noi. Anche la scelta delle immagini di repertorio riflette questo approccio. Nessuna immagine di Dachau, né di guerra, né filmati di archivio del periodo nazi-fascista: il repertorio è diventato un modo per tuffarsi nella fantasia di Lucy, nei suoi sogni, nei suoi incubi.
C'è un soffio di vita soltanto è la storia di un'identità che resiste e sopravvive, malgrado tutto, in un XXI secolo in cui il senso della Memoria sembra affievolirsi di fronte al lento incedere dei fantasmi del passato".
Mymovies - In un'epoca in cui i giovani si avvicinano all'idea della fluidità di genere Lucy incarna la determinazione ad essere se stessa ad ogni costo, rivendica la sua diversità con le sue scelte di vita, si impone di superare gli abusi e i gesti di discriminazione subìti. E ne ha seppelliti tanti: corpi ridotti a scheletri, ma anche aguzzini che non sono arrivati alla sua veneranda età. Davvero, come dice una donna di origine africana che viene ad assisterla, sembra possibile che il destino l'abbia scelta come portavoce di un'irriducibilità capace di sconfiggere il tempo e la barbarie dal volto umano.
il manifesto - Botrugno e Coluccini hanno trovato la chiave adatta in uno sguardo semplice, si sono messi «al servizio» di Lucy, delle sue parole, del suo volto, della sua incredibile memoria (anche quando recita poesie che scrisse da giovane), dei suoi ricordi drammatici (quando durante l’internamento fu costretta ad ammassare i cadaveri sulle carriole) così come dell’orgoglio delle sue scelte e della straordinaria energia che possiede ancora oggi nel porsi come figura di r/esistenza in un mondo che sta tornando a manifestare grevi intolleranze e a far sì che la sua esperienza assuma un valore di potente militanza. La sua vita è un esempio di combattimento, attaccamento, rivendicazione di quanto fatto.
Quinlan.it - Si parte da Dachau e si arriva a Dachau : la prima però è solo ricordata, contenuta nelle memorie di Lucy e in quella lettera in cui si invita la donna a partecipare alle commemorazioni della liberazione del campo di sterminio. Una commemorazione che non potrà avvenire però, perché di lì a poco arriva la diffusione del COVID-19, i lockdown, le restrizioni agli spostamenti, il divieto di assembramento, in Germania come in Italia. Può restare solo la memoria, dunque, o l’atto singolo come quello che spingerà la donna a recarsi da sola alle porte del campo, dove troneggia la scritta Arbeit macht frei. Il lavoro rende liberi. Non c’è nulla, per Botrugno e Coluccini, che liberi invece l’umano dalla sua condizione subalterna nei confronti della natura. Con piglio leopardiano, i due registi riflettono sull’assenza di Dio, sulla natura come elemento del tutto disinteressato all’umano e alle sue condizioni.